Cosa mangiare a Copenhagen

Guida pratica per sapere cosa (e come) mangiare a Copenhagen, tra nuovi trend che lassù sono assai assodati, cibi tipici e piatti imperdibili.

Cosa mangiare a Copenhagen

Appassionati di tendenze food, fine dining, innovazione e sostenibilità del cibo prima o poi sono passati a Copenhagen. La capitale danese è il the place to be per gastronomi e affini, basti pensare all’influenza che il defunto (dormiente) Noma e il verbo della cucina New Nordic hanno avuto nell’ultima decade a livello globale. E in effetti anche al turista non gastrofighetto basta guardare la media di cosa c’è nel piatto per rendersi conto che a Copenhagen lo sguardo è al presente, e avanti.

Fra caffè specialty, panetteria di livello, vino naturale, kombucha, cucina vegetale e quant’altro, danesi (e immigrati, sia chiaro) della capitale non si accontentano della pastasciutta di mammà. L’approccio è innovativo, sperimentale, sostenibile e con un occhio sempre vigile allo spreco, come un benevolo Sauron gourmet. Senza dimenticare le radici, ovvero la cucina tipica danese che giustamente va provata e apprezzata pur nella sua semplicità.

Insomma avrete capito che ci sono rimasta sotto. Per questo oggi voglio suggerirvi cosa (e come) mangiare a Copenhagen: dal caffè al pesce fritto, passando per verdure di stagione, abbinamento non alcolico, set menu e alternative veg. Questo viaggio è stato illuminante, anche per una scafata come me che di cibo letteralmente ci vive. L’intento è quello di darvi qualche dritta per far felice il vostro secondo cervello, anche si trattasse di un rapidissimo business trip o weekend last minute. Perché la vita, cari lettori, è troppo breve per mangiare a caso, o peggio male.

Caffè

specialty-coffee

Qui a Dissapore più volte ci siamo trovati nella scomoda posizione di smontare il caffè italiano. E non perché vogliamo ergerci a critici di stoca**o o fare gli haters part-time seguendo l’algoritmo. Semplicemente noi l’espresso del bar, bruciato, coi rimasugli del giorno prima, buttato a shot giusto per funzionare senza passare per le papille (al massimo ustionarle), ecco noi questo non lo vogliamo. Al contrario, Copenhagen è diventata negli ultimi anni mecca del caffè, come si dice? Ah sì, buono pulito e giusto, altre tre belle parole di cui ci vantiamo senza poi effettivamente metterle in pratica.

Polemiche a parte, le torrefazioni danesi sono diventate nell’ultima decade il Verbo di tutti i baristas e coffee roasters degni di questo nome. Fate un giro a colazione: nei bar di Copenhagen il caffè ha nome e cognome, certificato di origine, gusti e aromi complessi che sanno, finalmente, di terroir. E poi, oltre a chicchi e miscele, c’è sempre una mano esperta che pesa al grammo, estrae in almeno quattro modi diversi (espresso, chemex, V60, filtro) ed è preparata a descrivere cosa aspettarsi dalla tazza.

Badate bene, una cura così attenta del caffè qui non è eccezionale, è la norma. A partire da La Cabra marchio di eccellenza ed esportazione, dagli hub internazionali alla mitica Bottega delle Delizie di Bra. E poi a ruota gli indirizzi da segnarsi sulla guida: Roast per caffè equo-solidale e cascara o “tè di ciliegie del caffè”; Coffee Collective per comprare e macinare chicchi e sorseggiare una rinfrescante kombucha al caffè; April per un signor filtro da degustazione, oserei dire meditazione.

Croissant

pasticceria danese

Come si giudica la qualità di una panetteria pasticceria? Le basi, signori, le basi. Certo, ce ne sarebbe da dire in tema lievitati e dolci danesi, basta ficcare il naso in una qualsiasi bakery per rendersene conto. E non vi biasimo se la prima cosa su cui vi buttate sono le profumatissime leccornie tipiche o i dessert virali (vedi croissant cubo) che per una volta sono belli quanto buoni.

Ma appunto la prova del nove è quella più semplice, e per questo vi dico: ordinate il croissant. Senza ripieno, soffice e croccante al tempo stesso, la sfoglia (in apparenza) più semplice eppure così sfaccettata. E sfacciata: luccicante, burrosissima, opulenta. Altro che cornetto (al sud) smilzo o brioche (al nord) più aria che sostanza. Fate caso ai laboratori a vista dietro al banco, che gli occhi son fatti per guardare. Se siete fortunati vi capiterà di scorgere il pasticciere di turno, a imburrare beatamente a mano ogni strato di sfoglia più e più volte.

Se è porno levo. Però sappiate che il croissant made in Danimarca non attrae, seduce. Incrociate lo sguardo e cogliete l’invito che così languido non vi capita più. I più buoni (boni) di Copenaghen li trovate a Juno the bakery, Democratic Coffee, Andersen & Maillard.

Verdure di stagione

Baka d'BuskUn piatto di Baka d’Busk

Non ci crederete mai, ma non ho mai mangiato così tante e giuste in ogni senso verdure di stagione come a Copenaghen. Giuste per più di un motivo: il momento della mia visita (la stagione, duh), la qualità, il chilometraggio, il modo di cucinarle (esaltarle). E dire che vivo in Italia, cribbio!

Perché mi ha colpito questo fatto? Perché forse sono troppo abituata a menu in cui tutto l’anno compaiono indistintamente peperoni, melanzane, pomodori, giusto per citare la magica triade “mediterranea”. Perché gli abbinamenti sono sempre un po’ gli stessi, perché la creatività la trovo solo pagando (tanto) e altrimenti basta una passata alla griglia e via. Soprattutto non me lo aspettavo così a nord, una bella lezione contro i pregiudizi.

Nella Copenaghen di fine maggio ho mangiato: asparagi verdi, una singola portata di asparagi bianchi (che dalla settimana successiva non sarebbe più stato tempo), fave, aglio orsino, cipollotto, nasturzio, fragole, zucchina bianca e una quantità enciclopedica di lattughe e germogli che scusate se non me li ricordo per filo e per segno. L’indirizzo imprescindibile per sapere a che punto dell’anno siamo è Baka d’Busk a Nørrebro. Per una scorpacciata alla portata di tutti passate da Morgenstedet, unica perla che si salva dal trash turistico di Christiania a mio parere. Infine da provare il set menu vegano di Urten che si rinnova, giustamente, ogni mese.

Pesce fritto

fish-and-chips

Per quanto riguarda lo street food, mete come Palermo e Napoli sono insuperabili. Anche Copenaghen però ha il suo bel corredo, favorito peraltro dai numerosi e organizzatissimi mercati coperti e scoperti. Il mio consiglio, a fronte di hot dog, ostriche e cucina etnica, è stare sul locale e tipico. Ovvero, pesce fritto.

Prendiamo il rapporto qualità-prezzo e aggiungiamoci il fattore sazietà. Copenhagen, va detto, è una città cara e a volte (ma meno spesso di quello che potreste credere) si rischia di uscire dal ristorante con un certo languorino. Per ovviare al problema di cui sopra, specialmente se siete sportivi e volete tapparvi il buco da birra o aperitivo, niente è più economico, delizioso e saziante del pesce fritto. Date priorità alle fiskefrikadeller, grosse polpette di merluzzo in cui la ratio pane/pesce propende ampiamente per la seconda.

Alla media di 2 euro l’una il pasto è assicurato. Stesso discorso vale per i vari fritti misti e fiskefilet (filetti di pesce) da impilare sul classico pane di segale. Il chilometrò è meno di zero, voglio dire siamo in mezzo al mare: per freschezza, qualità e sfizio andate sul sicuro. Pescatelo al mercato di Torvehallerne e nei villaggi street food Reffen e Broens Gadekøkken.

Vino naturale

vino biodinamico

I paesi scandinavi, Danimarca compresa, sono famosi per la birra. E in effetti anche a Copenhagen scorre a fiumi, dalla sede storica della Carlsberg alle craft di Mikkeller, Warpigs e Fermentoren. Tuttavia, specie negli ultimi anni, una beva parallela si è affiancata a quella tradizionale, ovvero vino naturale. Ce lo dimostra, ad esempio, la nuovissima tappa di Raw Wine Copenhagen, fiera internazionale dedicata che normalmente viaggia attraverso Canada, Stati Uniti, Parigi, Londra e Berlino.

Da quest’anno ha deciso di fermarsi anche qui, nonostante il vino sia tutto di importazione, non vi siano (per ora, cambiamento climatico permettendo) vigneti autoctoni, e il boom del prodotto sia relativamente recente. Eppure la natural wine mania non sorprende del tutto: qui la percezione del bio, del senza (limitato) intervento, del sopracitato buono pulito e giusto, funziona e attrae da tempo. Bar, ristoranti e wine shop si sono adeguati con selezioni ad hoc, domanda ce n’è, occasioni pure. Del resto, nella terra dei quattro (4!) giorni lavorativi a settimana, tempo di fare l’aperitivo si trova facilmente.

Insomma, a Copenhagen si beve tanto e si beve bene. Che si tratti di birra artigianale, microbrewery non alcoliche (ci arrivo fra poco) o vino naturale, il consiglio è quello di esplorare o lasciarsi guidare. Qui si scovano etichette da tutto il mondo, specie il nuovo, ma anche tanta Austria, Spagna, Georgia e Balcani. L’indirizzo imprescindibile è Ved Stranden 10. Per tutto il resto c’è la ricerca Google “natural wine Copenhagen”: tranquilli che a secco non ci rimanete.

Kombucha

tipi diversi di Kombucha

Da appassionata (addicted) vera, ogni viaggio diventa l’occasione per fare il pieno di kombucha. Questo perché, e secondo me ne è l’aspetto più affascinante, la bevanda viva e probiotica si può esportare fino a un certo punto. Così paese che vai, kombucha che trovi. E Copenhagen sotto questo aspetto è quello fiabesco dei balocchi.

I gradi di livello della kombucha a Copenhagen sono tre. Le bottiglie al supermercato (mio personale sogno nel cassetto) un pelo più standardizzate ma sempre 100% artigianali; le etichette più di nicchia con infusioni locali e funky reperibili in enoteca, mercati e negozi specializzati; infine la kombucha fatta in casa del locale o ristorante di turno. Il livello tre è senza dubbio il più entusiasmante, visto che segue più da vicino la stagionalità e spesso è pensata per accompagnare i piatti.

Io ne ho assaggiate di indimenticabili da Ark e Bistro Lupa, due plant-based imperdibili entrambi Green Michelin Star. Ma anche da Lille Bakery, stra-consigliata anche per pane, dolci e pausa pranzo; e Ferment, curatissimo interprete del Giappone.

Abbinamento non alcolico

Kombucha

Avevo già sollevato l’argomento a proposito dei trend gastronomici di New York. La causa delle bevande zero-proof non si ferma, anzi, viene portata avanti anche dai sempre puntuali colleghi di Intravino. La cosiddetta “sober curiosity” è un interesse per tutti, tranne ovviamente di chi si ostina a vedere nella verità scientifica un “attacco all’identità nazionale” e ancora sostiene che un bicchiere o due al giorno non faccia niente, o peggio faccia bene.

Comunque: a Copenhagen il concetto è arrivato forte e chiaro, ancora dai tempi del Noma. Tutti i ristoranti, specie di un certo livello, propongono invariabilmente l’opzione di abbinamento non alcolico. La sequela di infusi, tè, kombucha, succhi, estratti fatti in casa impressiona per varietà e creatività. Non mancano ovviamente surrogati diretti come mocktails e vini non alcolici, la famosa nicchia in cui chi ha orecchie per intendere potrebbe investire, ma chi ci sente in paesi a trazione alcolica come il nostro.

Il consiglio è sempre lo stesso: siate aperti e ricettivi, e fate della sobrietà curiosa quell’occasione per accorgervi che la socialità non passa per forza dall’alcol. Da The Alchemist (ancora una volta fra i primi 10 World’s Best Restaurants 2023) in giù lo hanno capito. Provare per credere.

Set menu

tavola-legno-cibo-vino

Il mantra dei ristoranti a Copenhagen, dalla stella al pub, è zero spreco. A livello urbano i metodi sono innumerevoli: dal riciclo compulsivo al vuoto a rendere, dal compost alle app e start-up che spuntano come funghi (letteralmente). È proprio in Danimarca che nasce Too Good To Go, tanto per dirne una. Insomma, lo spreco relativo al cibo è un tema sentito e funzionante a livello pratico.

Uno dei metodi più efficaci si applica al mangiar fuori. I set menu o menu fissi, virtualmente ubiquitari, puntano proprio a questo: una sequela di 3, 5, 6 portate che dia una panoramica della cucina, pensati apposta per saziare al punto giusto senza rischio di mangiare troppo e trovarsi nella scomoda (maleducata) posizione di avanzare. Poi certo, a mali estremi c’è la box to go. Ma anche lì si tratterebbe di materiali in più, e allora meglio prevenire che curare.

Altro aspetto encomiabile è la non rigidità di questi menu “fissi“. C’è sensibilità a intolleranze e diete specifiche (ci arrivo fra un minuto), c’è ricambio secondo stagione ovviamente, e non manca mai una certa dose di creatività. A volte sembra quasi che sia il set menu ad adeguarsi al cliente e non viceversa. A me è successo da Admiralgade 26, bistrot con proposta di omakase che ha tirato fuori (praticamente a improvvisazione) un pranzo memorabile eseguito con cura, quella vera di chi è bravo a interpretare gli ingredienti ma anche ascoltare il cliente.

Così da papabile fregatura, specie in aree turistiche, il menu fisso a Copenhagen diventa biglietto da visita, divertissement e buona azione mangereccia. Approfittate anche voi e, se c’è da scegliere, non skippate il dessert!

Le alternative veg (provatele!)

vegan-avocado

Copenhagen è senza dubbio una città a misura di vegano. Dai fine dining ai più rilassati gastropub, amanti e adepti del plant-based troveranno pane per i loro denti. Ancora più sorprendente, specialmente dal nostro punto di vista, è il livello di inclusività nei confronti di chi non mangia alimenti di origine animale. Perché, udite udite, tantissimi ristoranti propongono senza problemi alternative veg, previste o impreviste che siano.

E il punto qui non è soltanto il concetto di flessibilità, oscuro al ristoratore medio o al leone da tastiera che si sente attaccato alla sola menzione della parola “vegan”. Ma anche, e soprattutto, di esecuzione. Perché è facile liquidare il commensale vegano, vegetariano o peggio intollerante con tristissimi spaghetti al pomodoro, insalata mista, verdure alla griglia. Comodo così. No, a Copenhagen in media le portate sono allo stesso livello dei piatti “normali”, a volte l’aspetto è addirittura lo stesso ma con ingredienti all’estremo opposto dello spettro gastronomico.

Ricerca, cura, creatività, cosa tu dire noi non capire. Eh no, perché spesso a meno di andare in ristoranti specializzati veg (a volte neanche quelli), ti propinano sempre la stessa ipocrita minestra. Sperando, amaramente, che la base non sia il dado di carne spacciato per altro. A Copenhagen decisamente non c’è pericolo. Scopritelo da voi in ristoranti come The Pescatarian specializzato in pesce che propone set menu vegetariano e vegano di altissimo livello; allo stellato Norrlyst e ai suoi parenti Odette e Gemini; o al Gorilla di Vesterbro con opzioni veg divertenti e originali.

Prenotare per tempo

ristorante-tavolo

L’ultimo consiglio, pratico e senza fronzoli, viene in aiuto specialmente di chi ha tempi stretti. Prenotate sempre, prenotate per tempo. Copenhagen sarà pure piccola e la sua demografia non si avvicina minimamente ai numeri da capitale europea media, ma non fatevi ingannare. I walk-ins non hanno vita facile, e il più delle volte si rischia il rimbalzo.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è organizzare le prenotazioni. La maggioranza dei ristoranti sono chiusi il lunedì, a volte anche domenica e martedì. È il rovescio della medaglia dei famosi 4 giorni lavorativi ma va bene così. Calendario alla mano, spalmate pranzi e cene con criterio e un certo grado di anticipazione.

Insomma, spirito di apertura, curiosità, un budget medio-consistente e un pizzico di excel mentale e pratico. Tanto basta per mangiare bene a Copenhagen e vivere un soggiorno indimenticabile da tutti i punti di vista, che anche la pancia vuole la sua parte. Velkommen til København, nyd dit måltid!