Piatti tipici della Campania: i 24 imprescindibili

I 24 piatti tipici della Campania da non perdere, dalla pizza chiena al tortano, dagli scazzatielli al cardone passando per il migliaccio. La cucina campana da provare.

Piatti tipici della Campania: i 24 imprescindibili

Vi vedo già a commentare “manca questo, manca quello”. Lo so perché a uno sguardo anche superficiale l’elenco dei piatti tipici campani sembra infinito, così ricco di aneddoti, tradizioni e varianti da perderci la testa. Per non parlare della parentesi piatti tipici napoletani che trovate in un articolo apposito.

A proposito di Napoli: la sua storia e influenza culturale ne hanno fatto il simbolo della gastronomia regionale. Eppure, messi da parte gli “scontati” quali pizza, cuoppo, parmigiana & co, in Campania c’è anche tanto altro. Una cucina povera, contadina e rurale che tramanda focacce con l’erba, zuppe di fagioli, frittate, pasta fatta in casa, alici marinate. Quella della provincia campana, specialmente l’entroterra, rappresenta la vera dieta mediterranea basata su erbe selvatiche, uova, legumi, formaggio, pesce bianco e azzurro, carne di maiale o capra. Il tutto condito (o fritto) in olio o strutto – e molta meno pummarola di quanto si immagini.

Dunque, con le mani avanti, proviamo a racchiudere questo gargantuesco patrimonio mangereccio in 24 piatti tipici da non perdere. Ecco quali da pizzatulieddi a pizza chiena, scazzatielli, cardone, migliaccio, limoncello e molti altri.

Pizzatulieddi

Serve ribadire che l’epicentro dello street food si trova a Napoli? Ribadiamolo. Ma di mangiari di strada è piena zeppa tutta la Campania. A partire dai pizzatulieddi, pizzette fritte tipiche di Salerno. A differenza della più nota pizza fritta napoletana hanno dimensioni ridotte e non sono farciti. I pizzatulieddi infatti nascono come avanzi di impasti casalinghi destinati ad altri usi. Resuscitati in forma dorata e croccante, possono essere ulteriormente impreziositi da conserve, salumi e formaggi.

Altri snack tipici del Cilento sono paddoccole, polpette fritte di patate, uova e caprino, e ruspitieddi, frittelle lievitate con fiori di zucca e/o alici. Nel beneventano troviamo struppoli e vanti, rispettivamente rustici e frittelle di sfoglia tipici di San Salvatore Telesino. Infine citiamo il panuozzo di Gragnano, panino-pizza da farcire con prodotti tipici quali mozzarella, salsiccia, friarielli e molto altro.

Pizza con l’erba

Pizza Bianca - Scarola

La cosiddetta “pizza co l’ereva” è uno dei simboli della Pasqua irpina. Questo verdissimo rustico farcito dell’avellinese viene preparato in occasione del Venerdì Santo, giorno di magro per eccellenza del calendario cristiano. La ricetta di base può essere considerata l’upgrade della pizza di scarola napoletana, includendo anche borragine, cardilli selvatici e cerfoglio. Oltre alle erbe tipiche primaverili si possono aggiungere finocchietto, uva passa, olive, pinoli, acciughe.

Sempre in Irpinia troviamo la pizza ionna a base di granoturco. Nella fattispecie un pane-polenta cotto alla brace che fa da accompagnamento alle verdure. Tipicamente invernale, la pizza ionna si mangia con scarola e fagioli o con il cosiddetto mallone, corposo pesto di rape e patate.

Pizza chiena

torta salata a fette con prosciutto

Dai tempi di Pompei, “pizza” è per tutti il disco di pasta sormontato dai condimenti. Eppure non è sempre stato così. Lo dimostra la pizza chiena o piena diffusa nelle province di Salerno, Benevento, Caserta o Avellino. A tutti gli effetti si tratta di rustico salato lievitato tipico del periodo pasquale. La “pienezza” fa riferimento agli ingredienti di cui è riccamente farcito: salsiccia, lardo, scamorza, ricotta, pecorino, uova.

Simile per denominazione e fattura la pizza del monacone caprese, dedicata a uno dei faraglioni che incorniciano l’isola. Anche in questo caso si tratta di una torta salata ripiena di verdure, carne e formaggio. Infine ricordiamo la pizza cilentana, l’unica “pizza” che dir si voglia ma con qualche differenza. L’impasto è quello per il pane e il condimento (limitatissimo di pomodoro e formaggio) sostituisce cacioricotta e origano ai classici mozzarella e basilico.

Tortano

torta salata salsiccia ed emmenthal

Ormai il casatiello napoletano si prepara pure in Brianza, ma che dire del tortano? Questo ciambellone rustico ripieno ci assomiglia in tutto e per tutto: tipico della Pasqua, farcito della qualunque, digerito alla resurrezione dell’anno successivo. La differenza riguarda il particolare estetico che rende così simbolico e scenografico il casatiello classico, ovvero le uova sode. Nel tortano ci sono ma non si vedono, nascoste nell’impasto insieme a tutto il ben di Dio (è proprio il caso di dirlo) di salame, provola, pancetta, scamorza e quant’altro.

Un’altra interpretazione del rustico pasquale è il casatiello atellano di Sant’Arpino anche detto “pane di primavera”. In questa zona le celebrazioni per l’avvento della bella stagione si fanno risalire a un periodo pre-cristiano dalle origini pagane. Che si tratti di Gesù, Demetra o Proserpina dunque, ogni divinità val bene una fetta.

Gnocchi alla sorrentina

gnocchi alla sorrentina ricetta

Dall’entroterra ci spostiamo sulla costa per un primo filante e succulento. Parliamo degli gnocchi alla sorrentina, sugosissimi da mangiare direttamente in teglia. Impastati e bolliti velocemente, gli gnocchi sono ricoperti di salsa al pomodoro, fiordilatte, parmigiano e basilico. Pronti? Nemmeno per idea. La loro particolarità sta nella seconda cottura al forno, per la quale vengono disposti nel tegame di coccio detto pignatello. Lo stesso che in tavola diventa piatto di servizio, ad accogliere voraci forchettate e goduriose scarpette di pane buono.

Fusilli avellinesi

fusilli

Il fusillo è uno dei formati di pasta tipici della Campania. Le province più dedite alla sua preparazione sono Avellino e Salerno, con qualche differenza. Nel primo caso i fusilli avellinesi o irpini, rigorosamente fatti a mano (e fuso) con impasto di sola semola e acqua. Gli abbinamenti tipici sono con ragù rosso di braciole; pomodoro e mozzarella; sugo bianco di provola affumicata. Infine la variante in tegamino, ovvero al forno con mozzarella, ragù, uova e parmigiano.

Salerno invece si fregia del Presidio Slow Food Fusillo di Felitto, specialità cilentana di pasta fresca all’uovo. L’impasto non prevede acqua, ma solo un goccio d’olio ad ungere le mani prima di modellarlo. I fusiddi alla cilentana passati al ferro ed essiccati vengono poi conditi con sugo di castrato, pecorino e cacioricotta.

Scazzatielli

cavatelli alla lucana

cavatelli di Castel San Lorenzo, provincia di Salerno, si chiamano scazzatielli. L’impasto è a base di grano tenero e duro, uova, olio, sale e acqua. Il valore aggiunto deriva dalla manovra manuale che dà loro nome e forma: l’atto di “scazzare”, ovvero schiacciare la pasta a formare piccole conchiglie concave. L’abbinamento must per gli scazzatielli è quello con ragù di castrato.

Altri cavatelli tipici della zona sono i crusicchi di Caggiano, di forma allungata e concava. Fra parentesi, questo delizioso borgo appenninico si fregia di un patrimonio piatti tipici tutto suo: vanno citati pasticcio e minestra caggianese, soppressata, pizza roce o pan di Spagna farcito. Idealmente (con uno stomaco allenato) si riesce ad assaggiarli tutti, a partire dai crusicchi. Provateli con pummarola fresca, ricotta, sugo di castrato.

Lagane e ceci

Pasta e fagioli

A eleggere un piatto davvero rappresentativo della Penisola, il premio andrebbe alla pasta e fagioli. La combo cereali e legumi è nel nostro Dna: ce lo dimostra, ad esempio, l’alimentazione di Etruschi e Romani a suon di farro e lenticchie. E ancora, la presenza in ogni regione di specialità che combinano (sotto forma di polente, minestre, zuppe, paste) i due elementi. La Campania non fa eccezione, a partire da lagane (o lavanella) e ceci.

Si tratta di un primo o piatto unico cremoso di tagliatelle e ceci appena sporcato di pomodoro. Diciamo “tagliatelle” per passare il concetto: la pasta fresca viene stesa e tagliata in pezzi larghi e lunghi simili alle lasagne. Non per niente lagana veniva citata già da Apicio come sfoglia di pasta per ricoprire o intervallare strati di condimento, e da molti è considerata antenata della lasagna.

Le specialità campane a base di cereali e legumi non finiscono qui. Citiamo pettolelle con fagioli alla casertana, pasta più o meno asciutta con cannellini e pomodoro; cicci maritati, zuppa di legumi e cereali tipica del Cilento; pasta e fagioli napoletana, con fagioli tondini, pasta mista, guanciale e pomodoro.

Cardone

minestra-maritata-wedding-soup

Il Natale beneventano non è completo senza il cardone. La zuppa di erbe con polpettine e pinoli apre le danze del cenone più importante dell’anno. Attenzione però a non confondere il cardone con il cardo: si tratta di una specie più simile al carciofo con foglie grandi e tenere dal sapore delicato. Occasione e preparazione simili per la minestra maritata napoletana, con carne di maiale e ortaggi a foglia verde come bieta, coste, scarola, cicoria.

Discorso a parte invece per la sopracitata minestra caggianese, specialità dell’Appennino salernitano. In questo caso la minestra di verdura risulta meno grassa e più acquosa e le polpettine hanno dimensioni ridottissime. Tuttavia l’elemento che più la contraddistingue è l‘imbottitura, fettine di vitello ripiene di formaggio servite à côté. In questo caso poi cambia l’occasione: la minestra caggianese è un piatto tipicamente nuziale servito tra antipasto e primo.

Sciusciello

Si parlava di zuppe e cucina rurale, e ancora ce n’è da raccontare. Partiamo dal sciusciello, zuppa di asparagi e uova tipica del Cilento. Da non confondere con l’omonimo pane di Pellezzano, il cui nome fa riferimento al “soffio” della lievitazione. Nel caso del sciusciello zuppa invece l’etimologia indica iuscellium, latino per “brodo”.

Questa minestra primaverile è un trionfo di primizie: a seconda della disponibilità ci sono asparagina selvatica, carciofi, fave, cipollotto, aglio fresco. Le uova, componente calorica immancabile sulle tavole contadine di un tempo, sono strapazzate regalando al brodo texture e aroma. A raccogliere il tutto ci va ù viscuotto, pane biscottato da inzuppare.

Altre zuppe povere della regione sono cauraro, zuppa di sarde cilentana; ciarella, minestra autunnale flegrea a base di uova e cipolla; taddi e fave, minestra primaverile cilentana con germogli e fave fresche.

Frittata di cipolle

frittata-cipolle

Dopo la Corazzata Potëmkin, la citazione più famosa del Fantozzi è indubbiamente la frittatona di cipolle (+ Peroni gelata e rutto libero). Tutta Italia lo sa e tutta Italia l’ha fatta saltare in padella almeno una volta. Ma se dovessimo trovare un’origine a questo piatto, così semplice e così gustoso, sarebbe proprio la Campania. Da una parte per l’onnipresenza dell’uovo nelle ricette regionali; dall’altra per il catalogo di varietà di cipolle autoctone di cui si fregia. Vatolla (SA), Alife (CE), Airola (BN), Montoro (AV): quattro cipolle per quattro provincie, e innumerevoli utilizzi in cucina.

Quella della frittata di cipolle è un’origine certamente dibattuta. A corroborare la tesi però abbiamo una sfilza di ricette tipiche. Fra queste le uova a murzillo ‘e prievete, il “boccone del prete” a fette filanti (nello specifico, frittata ripiena di prosciutto e provola). Non possiamo non citare le uova in purgatorio e uova alla monachina partenopee, rispettivamente cotte nel sugo e sode ripiene e fritte. Entrambe sono terribilmente simili ad altri due classici internazionali e allora ci domandiamo: sono venute prima shakshuka e Scotch eggs o purgatorio e monachina? In questo caso di sicuro vince la gallina.

Alici alla maruzzella

teglia con alici in marinatura

Voi che al ristorante del porto adocchiate tonno e pesce spada, fermatevi per carità! Le specie autoctone da provare sono quelle povere, ma non per questo meno gustose. Le alici alla maruzzella, specialità cilentana di alici ripiene, sono un esempio da manuale. Il nome si riferisce alla forma arrotolata che le rende simili a una chiocciola. Semplicissime con prezzemolo, olio, limone e pangrattato, vanno giù come se (ancora) nuotassero.

Non è finita qui: in tutta la regione troviamo innumerevoli variazioni sul tema alici marinate, e poi arraganate (con origano), alla piattella (cotte in padella di terracotta), ‘mbuttunate (fritte ripiene con uova e formaggio). Tutti piatti di ieri con le caratteristiche che cerchiamo nei piatti di oggi: economici, veloci, nutrienti, sostenibili, appetitosi.

Accio e baccalà

baccalà-con-porri-ricetta

L’altro pesce povero per eccellenza è il baccalà, che grazie alla salatura diventa praticamente indistruttibile aka conservabile. Fra le ricette più rappresentative c’è accio e baccalà, classico dell’Irpina cucinato appositamente per il cenone della vigilia. Protagonista insieme al pesce c’è il sedano (accio), in particolare il Presidio Slow Food Sedano di Gesualdo. In questa veste natalizia viene stufato insieme a baccalà, aglio, olio e prugne secche.

Sempre in Irpinia troviamo il baccalà alla pertecaregna, lessato e impreziosito con peperoni cruschi. Da Benevento il baccalà alla pizzaiola, cotto in umido con pomodoro, prezzemolo e origano. Infine il baccalà alla cannaruta, ricetta borbonica della tradizione napoletana. Si prepara fritto con cipolle, noci, pinoli e uvetta: il nome promette di leccarsi i baffi, e come non credergli?

Braciole al sugo

ragù-napoletano

Il pranzo della domenica in Campania non prevede lasagne e pasta al forno, ma questo lo sapete già. Piuttosto un lentissimo ragù napoletano, genovese, polpette fritte. E poi le braciole al sugo, involtini di manzo farciti da far cuocere nel ragù. I tagli più usati sono “vacante di natica” (noce) e “locena” (spalla). Il ripieno a base di pecorino, prezzemolo, aglio, uva passa e pinoli viene chiuso tramite stuzzicadenti. Gli involtini ottenuti si fanno prima soffriggere e poi “pippiare” a più non posso fino a diventare tenerissimi.

Un altro secondo classico è costolette con papaccelle, ovvero maiale e peperoni in padella. Due parole sulla papaccella: tra le varietà di peperoni da riconoscere, è un Presidio Slow Food di forma schiacciata e costoluta e polpa estremamente dolce. Restiamo sul maiale con la sfrionzola, spezzatino tipico di Ottati in provincia di Salerno. Chiudiamo con filetto e filettone di Vairano Patenora, specialità da conserva della provincia di Caserta.

Polpette fritte

polpette-fritte-ricetta

Pensavate che le polpette al sugo napoletane fossero imbattibili? Vi facciamo ricredere con una sfilza di polpette fritte dal resto della regione. Partiamo dalle polpette di San Paolo, prosaicamente definite palle ‘e San Paulo. Specialità di Aversa (CE), vengono preparate il 25 gennaio in occasione della festa patronale. A base di pane, macinato, uova e prezzemolo, a piacere si possono aggiungere pinoli e uvetta. Per un risultato ottimale occorre rispettare la tradizione: si dice infatti che solo nel giorno consacrato le polpette riescano perfettamente sferiche.

Ci spostiamo in Cilento per assaggiare le polpette di San Biagio, specialità fritta del Carnevale. Stavolta (e giustamente per l’occasione) gli ingredienti sono più sostanziosi: patate, pane, formaggio, uova, salame. Il clou della festa è il 3 febbraio, giorno in cui è tassativo preparare le polpette senza lesinare sulle dosi. Del resto il proverbio recita “Quann’è San Biasi se gratta lo ccaso, chi nne tene nne gratta e chi no se l’accatta”: a San Biagio si grattugia il formaggio, chi ce l’ha lo grattugia chi non ce l’ha se lo compra.

Chiudiamo con il terzo santo e una vista pazzesca sulla penisola sorrentina. Le polpette di San Rocco si preparano il 16 agosto, in particolare a Maiano. Stavolta la ricetta vira decisamente sull’agrodolce: da una parte carne macinata, uova, aglio e prezzemolo; dall’altra pesca, pera, amaretti, pinoli, cannella. C’è chi ci mette anche cioccolato e canditi, e dopo la frittura le passa pure nel sugo. La combo funziona? Con tutti questi santi siamo pronti a gridare al miracolo.

Coniglio all’ischitana

coniglio all'ischitana ricetta

Le isole non sono solo piatti di pesce. Fra gli ingredienti più gettonati spesso troviamo il coniglio, e Ischia non fa eccezione. Il coniglio all’ischitana è la sua ricetta portabandiera, figlia di una tradizione che parte almeno dal Cinquecento. Le componenti fondamentali del piatto sono il mix di erbe aromatiche (timo, maggiorana, prezzemolo, basilico), la marinatura (sì, no, con vino rosso o bianco), il grasso di cottura (olio o strutto). Dalla combinazione di questi elementi nascono le diverse ricette che fanno capo ai sei comuni dell’isola.

In comune c’è proprio lui, il coniglio da fossa di Ischia che è anche un Presidio Slow Food. L’allevamento avviene in fosse rivestite di parracine (muretti a secco) in tufo verde. L’alimentazione prevede erba fresca, foglie di fico e vite, paglia, baccelli di fave e fagioli. Come dire, se il coniglio mangia bene poi si sente (e bisognerebbe ricordarselo per tutte le carni, ma questa è un’altra storia).

Mbrugliateddi

Analogamente alla pasta e fagioli, ogni regione italiana ha almeno un piatto di interiora nella sua tradizione. Pronti a un banchetto di frattaglie? Via con gli mbrugliateddi cilentani, che prevedono intestino di capretto ad avvolgere un ripieno di formaggio, prezzemolo, aglio, peperoncino. Nome e location diversa per gli ammugliatelli irpini, che prendono il nome dal mugliatello o “gomitolo” cui assomigliano. La ricetta però rimane pressoché identica: intestini teneri accuratamente lavati con succo di agrumi (contro la proliferazione batterica), farciti e arrostiti.

Ci spostiamo a Palomonte per la sua fricassea, stufato di interiora soffritto e aromatizzato ad hoc per la festa di San Biagio. A Salerno invece incontriamo un altro santo (San Matteo) e la meveza ‘mbuttunata o milza imbottita protagonista della festa patronale il 21 settembre. La milza, in questo caso di vitello, viene farcita con trito di aglio, prezzemolo, peperoncino. Chiudiamo con la tomacella irpina, polpetta fritta di interiora di maiale e rafano. Il mix di rene, cuore, lingua, peritoneo e una bella grattata di radice assicura un’esperienza gustativa (ed esistenziale) indimenticabile.

Melanzane in tutti i modi

melanzane-ripiene-vegetariane-ricetta

La melanzana è probabilmente l’ortaggio principe della cucina campana. Al forno, con la pasta, ripiena, fritta, perfino dolce. Su tutte, la ricetta più rappresentativa è la parmigiana napoletana con melanzane violette, caciocavallo, pelati, salsiccia curva, provola e basilico. Un altro must sono le melanzane a barchetta o “a scarpone” (che poi in dialetto vuol dire ciabatta ma tant’è, sempre di calzature si parla). Vengono infatti tagliate per lungo, scavate e riempite di pomodorini, capperi, olive, pane, uova e formaggio. Non vi verrà voglia di affondarci il piede, ma di sicuro la forchetta!

Altre ricette tipiche sono melanzane a ‘ppullastiello, fritte e farcite con salame e provola a mo’ di cordon bleau; a funghetto, appetitoso contorno a base di cubetti di melanzana fritti, pomodorini e basilico; mulignan ca ciucculat, melanzane al cioccolato tipiche della Costiera. L’abbinamento azzardato ma vincente deriverebbe da antiche ricette di ordini religiosi, sdoganate dalla crescente disponibilità di cacao. Si tratta di un dolce a strati realizzato con melanzane fritte, crema al cioccolato e granella di mandorle a amaretti. Fidatevi, è una bomba.

Delizia al limone

delizia al limone ricetta

Il nome ruffiano di questo dolce ci porta a essere imparziali. Nell’area di Amalfi e Sorrento però: solo qui la delizia al limone è davvero degna del suo titolo. Il merito è naturalmente delle pregiatissime varietà locali, ovvero Limone Costa d’Amalfi Igp e Limone di Sorrento Igp. E anche (soprattutto) di Carmine Marzuillo, il pasticciere che creò la ricetta nel 1978. Si tratta di una cupola di pan di Spagna praticamente invasa dal limone: nell’aroma, nella crema del ripieno, nella glassa di copertura. In sintesi, una vera delizia.

Simili alle delizie i sospiri al limone di Amalfi, piccoli dolcetti tondeggianti di pan di Spagna ripieni di crema pasticciera al limone e ricoperti di glassa allo zucchero. Infine la torta al limone di Sorrento, morbida come una margherita ma decisamente meno banale. Il merito, ancora una volta, va alla crema e al suo inconfondibile, profumatissimo aroma da cartolina.

Torta caprese

fetta di torta caprese

Di capresi famose ce ne sono due: l’antipasto e il dolce. Sulla prima, ormai sdoganata in tutto il globo terracqueo, non c’è molto da dire: mozzarella, pomodoro e basilico che purtroppo a trovarne di qualità ormai serve il lanternino. Oggi ci soffermiamo sulla seconda, ovvero la dolce e decadente torta caprese. Inventata fra Napoli e Capri non più di un secolo e mezzo fa, questa torta al cacao e mandorle è un piccolo miracolo della pasticceria. Viene infatti realizzata senza farina e lievito, caratteristica che ai giorni nostri torna utile per gli intolleranti al glutine. Fu frutto di una dimenticanza, come suggeriscono alcuni, oppure di un volontario capriccio principesco? La risposta è sempre: famme magnà.

Migliaccio

migliaccio napoletano

Un altro dolce senza farina (ma stavolta il glutine c’è) è il migliaccio napoletano, ricetta tipica del Carnevale. Lo riconoscete per le fette di colore giallo, ma stavolta lo zampino del limone è davvero limitato. Si tratta infatti di una torta di semolino dalla consistenza cremosa e molto morbida. Nell’impasto troviamo anche uova, ricotta e latte con aroma di vaniglia, agrumi e acqua di fiori d’arancio. Un tempo poteva anche esserci sangue di maiale, ingrediente usato tradizionalmente come legante. Infine il miglio, ops semolino. Anzi, vanno bene entrambi perché il primo è l’antenato del secondo: per ricordarselo basta pronunciarlo.

Guanto caleno

Questa specialità di Calvi Risorta in provincia di Caserta a prima vista appare come una semplice pasta lievitata e fritta. La sua particolarità non sta tanto nella forma (a corona), nel nome (compreso il guantarolo, rotella dentata per tagliare l’impasto) o negli ingredienti. Alla fin fine si tratta di farina, olio, zucchero, latte, anisetta e scorza di limone. Il vero fascino del guanto caleno sta nella sua preparazione: un drappello di custodi donne che ogni anno realizza questo dolce su commissione. Il rito è lento e comunitario, con diverse fasi di preparazione e un’occasione garantita di festa finale. Per matrimoni, battesimi, sagre, feste patronali c’è sempre un guanto, croccante fuori e morbido dentro, ad aprire le danze

Pasticella di Acerno

Il Natale campano regala una sfilza di dolci tipici, spesso monoporzione così nessuno ve li toglie di bocca. Fra i più noti c’è la pasticella di Acerno, sfoglia dolce ripiena di castagne. Per certi versi la forma ricorda un sole dorato: la pasticella è infatti caratterizzata dal rigonfiamento centrale, sede del ripieno, e dai pizzilli o bordi irregolari che lo circondano. Se un tempo la dolcezza era esclusivamente frutto dei marroni, oggi si aggiungono anche caffè e cioccolato.

Altri dolcetti natalizi sono gli scauratielli cilentani, zeppoline bollite e fritte a forma di alfa e omega; cartellate irpine, dolcetti fritti intrecciati ricoperti di spezie, miele e frutta secca; scarpegghie di Calitri, paste cresciute fritte intinte nell’olio o nel vino cotto.

Limoncello

limoncello in bottiglia e due bicchieri

Come ogni pranzo abbondante che si rispetti, anche questo articolo non può che terminare con un bicchierino di limoncello. Il liquore di limone più famoso e profumato è tra i fiori all’occhiello della Costiera, realizzato preferibilmente con femminello di Sorrento o sfusato amalfitano. A farlo bene ci vogliono dieci limoni per ogni litro di alcol, qualche giorno di attesa (a estrarre tutti quegli olii essenziali basta poco) e l’aggiunta finale di sciroppo. Tanti lo definiscono digestivo, ma non crederete che tutto quello zucchero aiuti la fase postprandiale! Piuttosto pensiamolo come uno sfizio, leccornia finale per chiudere un viaggio gastronomico in una delle regioni più belle.