Cucina italoamericana: i 21 piatti da conoscere (e magari apprezzare)

La diaspora italiana in Usa ha creato un'identità gastronomica, la cucina italoamericana. Eccola, in 21 piatti tipici, dal garlic bread ai rainbow cookies, passando per le più famose fettuccine Alfredo e polpette sugli spaghetti.

Cucina italoamericana: i 21 piatti da conoscere (e magari apprezzare)

Se gli spaghetti con le polpette vi fanno orrore, l’accostamento pollo-pasta è un’eresia e non concepite “parmigiana” senza melanzane, leggete qui. Oggi proviamo a farvi cambiare idea con una sugosa carrellata di piatti tipici della cucina italoamericana, dal garlic bread ai rainbow cookies.

Potreste anche dire no thank you, e noi vi risponderemmo con un bel why not? L’errore che si tende a commettere è considerare la cucina italo americana una caricatura ridicola e pesante di quella italiana “autentica”. Eppure è bene ricordare che, a tutti gli effetti, siamo di fronte a una cucina migrante identitaria evolutasi in un contesto storico e sociale ben preciso. Lo spiega bene Simone Cinotto in The Italian American Table, ritratto della diaspora italiana ambientato nella New York del primo Novecento. Per chi arrivava da un’Italia povera e contadina il sogno americano si realizzava innanzitutto a tavola. L’improvvisa abbondanza e accessibilità a ingredienti come carne, uova, formaggio e conserve in scatola hanno gettato le basi dei piatti opulenti che conosciamo oggi. Se per i paisàns il legame con la madrepatria significava fame e povertà meglio scinderlo il più in fretta possibile, e come biasimarli.

Quali sono le caratteristiche generali del ricettario italo americano? Uso abbondante della salsa di pomodoro; predominanza dell’aglio sugli altri odori; accostamento di carboidrati (pasta, pane, pizza) a proteine animali; fra queste l’importanza strategica del pollo, protagonista anche nei primi. Infine la pasticceria, dai dolci secchi a coloratissime varianti di gelati e granite.

Anche stavolta le nonnas non ci lasciano a secco, anzi. Ecco quali sono i 21 piatti tipici italo americani da conoscere e chissà, magari anche apprezzare.

Garlic bread

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Fateci caso: la cucina italo americana è dominata dall’aglio. Eppure in Italia questo non succede, se non per specifiche preparazioni come pesto, bagna cauda o la classica bruschetta. Come mai? Parrebbe una questione alla “fare di necessità virtù”. Per i primi migranti l’aglio era un ingrediente fai da te, estremamente economico, facile da coltivare e ideale per insaporire anche i piatti più umili. Così l’odore per eccellenza è diventato sinonimo di cucina italiana in America. Naturalmente all’inizio i nativi si sono tappati il naso con due belle dita di razzismo: i guidos, oltre a essere brutti sporchi e criminali, ovviamente puzzavano tutti di aglio. Col tempo gli stereotipi si sono concentrati altrove mentre l’aglio è rimasto, ubiquitario e fortemente caratteristico.

Il piatto che più gli fa onore è indubbiamente il garlic bread, pane all’aglio servito come appetizer (ricordiamo che il companatico negli States non è compreso). Non aspettatevi una bruschetta: il condimento di elezione infatti non è olio, ma burro nel quale le fette di pane vengono leggermente rosolate. Ulteriori aggiunte possono essere parmigiano, pepe nero, erbe aromatiche. A Olive Garden, catena simbolo dell’immaginario italiano in America, il garlic bread si fa breadstick (grissino) e si dice crei dipendenza. Sarà: sicuramente, visto il menu, parrebbe la cosa migliore da mangiare.

Marinara

salsa di pomodoro sollevata dalla padella con un cucchiaio

Non parliamo (solo) della pizza. Marinara, nome completo marinara sauce, si riferisce proprio alla salsa al pomodoro usata a mo’ di condimento. Questa ubiquitaria salsa da inzuppo viene utilizzata per breadsticks, garlic bread, calamari fritti e molto altro. I due tratti distintivi della versione italo americana sono tantissimo aglio e una temperatura di servizio che rasenta quella del sole. La storia d’amore dei migranti italiani per la salsa di pomodoro è lunga e complessa. Pensate un po’ lo shock culturale: dal rituale lento e comunitario della passata fatta in casa, alla praticità delle salse pronte in barattolo. L’identificazione con questo ingrediente, favorita in special modo dal business dell’importazione, è stata uno dei tasselli fondamentali per la creazione culturale e culinaria dell’italianità in America. E dunque preparatevi a navigare, oltre l’Atlantico, in oceani di saporita salsa marinara.

Pepperoni

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Il divario fra Italia e America assume le sembianze di una p di troppo. C’è una bella differenza infatti tra peperoni e pepperoni. Facile trovarli entrambi sulla pizza, che però nel primo caso sarebbe vegetariana e nel secondo carnivora. Pepperoni (che poi plurale non è come tocca in sorte a panini, zucchini, calamari e compagnia bella) indica un tipo di salame rosso acceso solitamente già tagliato a fettine. Nome e colore derivano da paprika e peperoncino, le spezie che lo contraddistinguono, con eventuale aggiunta di pepe nero, finocchio, senape e aglio.

La pepperoni pizza negli Usa è ormai un’istituzione a sé distaccata dalle origini italiane, così popolare da costituire circa il 35% degli ordini totali secondo le maggiori catene. Qualche legame in più col concetto di  salame nostrano rimane nel cosiddetto antipasto. Si tratta di un tagliere “tipico” pieno zeppo di ingredienti Italian-sounding: tra parmesan cheese, crostini, prosciutto e verdure sott’olio non possono mancare pepperoni a volontà.

Muffuletta

muffuletta-sandwich

Il muffuletta sandwich è il panino imbottito tipico di New Orleans, creato dagli immigrati siciliani nei primissimi anni del Novecento. Facciamo un passo indietro: a Palermo con muffoletta o moffoletta si intende la forma di pane tipica della festa dei morti. Tonda, crosta croccante e mollica spugnosa, è perfetta per essere cunzata con olio, acciughe ed erbe aromatiche. Un pane a tutti gli effetti “povero”, o perlomeno modesto come vuole la tradizione. Inutile dire che la muffoletta d’oltreoceano è tutta un’altra storia.

La versione di New Orleans, pare, fu aggiornata da Salvatore Lupo, proprietario del Central Grocery Co. su Decatur Street. Qui dal 1906 in poi l’attenzione si spostò dalla forma di pane al suo ripieno che, strato dopo strato, esplora praticamente tutte le categorie del pizzicagnolo. L’ingrediente immancabile è la olive salad, insalata di olive con capperi, scalogno, peperoncino e giardiniera di verdure. Quando però si aggiungono mortadella, prosciutto, capocollo, salame, provolone e formaggio svizzero la faccenda si fa impegnativa. Per la sua stazza la muffuletta viene servita in quarti, mentre i coraggiosi possono azzardarne metà.

Stromboli

calzone farcito

Il calzone ripieno made in Usa si chiama stromboli. Qualcuno avrà pensato che così caldo e zeppo di ingredienti in golosa eruzione tanto valeva chiamarlo come il vulcano siciliano. Chi fu questo guru del marketing però non è dato sapere. Molto più interessante, dal nostro punto di vista, è vedere punto per punto come lo stromboli si differenzia dal calzone nostrano:

  • Provenienza: il calzone è tipico della cucina pugliese, molisana e lucana; lo stromboli invece deriva direttamente dal distretto sud di Philadelphia, che negli anni Cinquanta era abitato prevalentemente da immigrati italiani.
  • Forma: laddove il calzone è una mezzaluna, lo stromboli è un cilindro. La pasta di partenza per i due prodotti infatti viene lavorata a partire da una cerchio nel primo caso, da un rettangolo nel secondo.
  • Chiusura dell’impasto: mentre il calzone viene semplicemente piegato su se stesso, lo stromboli viene arrotolato. Un po’ come dire che se il calzone sta al taco, lo stromboli sta al burrito.
  • Condimenti: lo sappiamo bene, qua ci si può sbizzarrire con salumi, formaggi e verdure. Tuttavia almeno una differenza costante c’è: nello stromboli non si usa la ricotta perché la sua consistenza renderebbe l’impasto troppo umido facendolo collassare.

Italian beef

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I fan della miniserie The Bear sanno già. L’Italian beef è un panino di quelli carichi: roast beef con il suo jus di cottura, giardiniera, peperoni arrosto. Il tutto racchiuso a malapena in un Italian-style roll, il classico pane allungato lungo un piede (il foot unità di misura americana). Questo paradiso della fame chimica nasce sicuramente a Chicago agli inizi del Novecento. A quel tempo il cuore pulsante dell’industria era rappresentato dalla Union Stock Yards, impianto di lavorazione della carne. Per le numerose famiglie impiegate, tra cui molti italiani, era uso comune ottimizzare il manzo tagliandolo a fettine sottili e facendolo bollire. La ricetta “povera” di carne in brodo e pane vecchio venne resa popolare e assai più ricca da personalità locali come Pasquale Scala e Al Ferreri, proprietario di Al’s Beef. Fino ad arrivare a Joe Zucchero di Mr Beef, il ristorante a cui The Bear (di cui consigliamo caldamente la visione) si ispira.

Wedding soup

wedding soup

 

Non c’è dubbio che la wedding soup americana derivi direttamente dalla minestra maritata napoletana. Il matrimonio, per inciso, sarebbe quello tra verdure e carne in brodo di pollo. Ortaggi a foglia verde come cicoria, cime di rapa, spinaci, bieta e indivia si sposano qui con salsiccia e polpette. Come ogni matrimonio che si rispetti anche qui c’è il testimone: una manciata di pastina (i cosiddetti “acini di pepe”) da aggiungere a piacimento. Se a Napoli la funzione viene celebrata in occasione delle festività, negli States non ci si formalizza più di tanto, anzi. A meno di avere una incorreggibile nonna che tenga viva la tradizione, una delle versioni più popolari di questo piatto è già pronta in lattina con il nome di Chickarina Soup. Favorite?

Cioppino

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A fare una ricerca veloce per brodetto di pesce si viene letteralmente inondati di risultati. In Italia infatti, su entrambe le sponde, ci sono tante ricette quante sono le varietà di pesci e crostacei utilizzati per la sua preparazione. In America la faccenda è molto più semplice: di cioppino ce n’è soltanto uno e si trova esclusivamente sul Pacifico, precisamente a San Francisco dove venne reso popolare dagli immigrati genovesi. Sull’origine del nome ci sono più ipotesi. Ciuppin come verbo si riferisce a chip in, ovvero l’atto di contribuire con parte del pescato a chi era stato sfortunato in mare. Quello che finiva in pentola, a seconda del buon cuore dei compari pescatori, diventava così cioppino. Esiste anche il sostantivo ciupìn direttamente dal dialetto ligure, con il significato di “piccola zuppa”. Infine non possiamo non notare che cioppino assomiglia terribilmente al verbo inglese to chop, tagliare grossolanamente.

Insomma, tanti significati ma la sostanza è quella. Nel cioppino il catch of the day, tra cui compaiono regolarmente capesante, granchi, vongole, cozze, gamberi e polpo, viene combinato a salsa di pomodoro e vino bianco. Più l’immancabile fetta di pane tostato: va bene che siamo in America, ma la scarpetta è d’obbligo e in questo caso davvero irresistibile.

Spaghetti and meatballs

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L’immaginario dell’italiano in America è tutto qui, da Lilli e il Vagabondo a quei cattivi ragazzi de Il Padrino.  Parliamo degli spaghetti and meatballs, forse il piatto più emblematico della cucina italo americana. La sensazione è che, a noi italiani, il loro concetto sia sempre apparso più gustoso dell’effettiva sostanza. Magia del cinema. Eppure il loro appeal non dovrebbe sorprenderci, tantomeno farci sentire in colpa. Del resto il ricettario regionale è pieno zeppo di varianti di pasta con polpette al sugo. Qualche esempio? Chitarra con pallottine abruzzese, pasta ‘ncasciata siciliana, o ancora la classica lasagna napoletana con aggiunta di piccole polpette. E potremmo continuare.

Il problema degli spaghetti and meatballs sta piuttosto nelle proporzioni. Polpette grosse come palline da tennis, sugo che non lega, troppo aglio che copre tutto il resto. La pasta poi, sicuramente scotta. A pensarlo fatto bene però questo piatto può dare immensa soddisfazione, e alzi la mano chi non ha mai abbinato pasta e pane al sugo di carne della nonna. Che dite, gli diamo una possibilità?

Fettuccine Alfredo

fettuccine alfredo

Abbiamo già affrontato il tema scottante dell’origine delle fettuccine Alfredo. Manca però un pezzo di storia: a cosa devono la loro popolarità negli Usa rispetto a qui? E soprattutto come ci sono arrivate? Leggenda vuole che i primi “influencer” in patria siano stati i coniugi Douglas Fairbanks e Mary Pickford, entrambi attori, che nel 1927 assaggiarono l’originale burro e parmigiano a Roma in viaggio di nozze. Successivamente l’ascendente del piatto fu direttamente proporzionale al calibro dei divi di Hollywood protagonisti della Dolce Vita capitolina. Insomma, le fettuccine Alfredo facevano figo.

C’è poi chi dice, se vuoi esserlo davvero usa lo scalogno. Ecco, non è questo il caso delle fettuccine Alfredo d’oltreoceano. La ricetta, soprattutto a causa della grande distribuzione, è spesso inesorabilmente appesantita da ingredienti come panna, pollo e piselli. Così da primo le fettuccine Alfredo diventano piatto unico, tanto più versatile e veloce laddove Alfredo diventa sinonimo di salsa pronta da utilizzare a piacimento su carne, verdure, insalate e così via.

Penne vodka

penne alla vodka

The 80s are back baby, e stavolta Stranger Things non c’entra nulla. Facciamo un tuffo nel passato con le penne alla vodka, il fu hit culinario che tuttavia negli States continua ad avere grandissimo appeal. Il primo piatto a base di panna, salsa marinara e un goccio di vodka sembrava aver fatto il suo tempo nelle discoteche romagnole di quarant’anni fa. Eppure ancora oggi penne vodka è una voce pressoché costante nei menu dei ristoranti italo americani. Il segreto sta proprio nel suo ingrediente di punta, seppur esso rappresenti una percentuale minima della sua composizione. La vodka infatti farebbe da agente emulsionante, donando al piatto la cremosità che lo contraddistingue.

Baked ziti

Pasta al forno ziti

Se la pasta al forno è il vostro unico credo (cit.), allora non potete perdervi i baked ziti. L’asse Italia-America qui è più vivo che mai. Gli ziti infatti sono tra i formati di pasta tipici campani, gli unici per cui è ammessa la rottura: spezzati sono protagonisti della genovese, il ragù bianco napoletano a base di cipolle. La loro forma e consistenza li rende ideali in casseruola con sugo di carne, peperoni e funghi. Senza dimenticare il mix di formaggio filante, tra cui mozzarella, ricotta e parmigiano. Un piatto ricco mi ci ficco, dunque, tanto più se te lo dice la moglie del boss. I baked ziti infatti sono stati resi estremamente popolari dalla saga mafiosa I Soprano in quanto  cavallo di battaglia di Carmela, moglie di Tony Soprano.

Lobster Fra Diavolo

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A dirla tutta il buon Fra Diavolo non è esclusiva della lobster. L’appellativo infatti si applica a tutti i crostacei (gamberi, granchio, astice) ma per ragioni scenografiche la rappresentanza spetta all’aragosta, di cui peraltro le coste atlantiche abbondano. La paternità del piatto è quasi sicuramente da attribuire agli italiani di New York, dalla Grotta Azzurra di Little Italy all’immensa comunità di Long Island. Più misteriose sono le origini del nome: Fra Diavolo sembra quasi una metafora di sacro e profano, invece non c’entrano né monaci né demoni. Fra sta per “fratello”, mentre il diavolo beh, quello si sprigiona sulla lingua. Si tratta essenzialmente di un condimento piccante a base di pomodoro, aglio e peperoncino con cui condire l’aragosta. Dulcis in fundo una bella porzione di pasta a scelta fra linguine, spaghetti, paccheri o maccheroni. Ecco a cosa serve lo storytelling: vuoi mettere una banale seafood pasta contro un’appetitosa spicy lobster Fra Diavolo?

Chicken parmigiana

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Abbiamo parlato qui delle varianti di parmigiana, ma ci eravamo limitati alle verdure. L’abbondanza di carne nel Nuovo Mondo, come accennato nell’introduzione, era una novità troppo allettante per i malnutriti immigrati della prima ora. Così a poco a poco i piatti tradizionalmente poveri si sono arricchiti della proteina animale o in qualche caso ne sono stati totalmente sostituiti, diventando quei “mescoloni” che oggi fanno inorridire certi puristi. C’è indubbiamente margine di discussione, ma non si possono rinnegare le circostanze in cui si sono evoluti determinati usi alimentari.

Introducing chicken parmigiana, per gli amici chicken parm. Ma anche veal parm, o vitello se è per questo. Gli ingredienti li conoscete, solo che al posto della melanzana ci va la fettina di pollo o vitello. Impanare con uova e pangrattato, mettere in forno con pomodoro e mozzarella, servire su letto di pasta o insalata o sandwich. Enjoy, senza troppi pregiudizi.

Chicken Scarpariello

pollo ai peperoni

Non si scherza con il sugo scarpariello napoletano. E infatti gli italo americani non ci provano neanche a copiarlo, si limitano a prenderne in prestito il nome. Il chicken scarpariello è un secondo a base di pollo, salsiccia e peperoni. Nessuna traccia di pomodoro, e anche qui i puristi dovranno mordersi la lingua. La ricetta è stata più o meno codificata dal mitico ristorante Rao’s di Harlem a New York City, famigerato ritrovo di divi e gangster. Il concetto di chicken scarpariello starebbe, secondo alcuni, nell’assemblaggio dei suoi componenti. Come il ciabattino o scarparo rammenda scarpe e suole, così gli ingredienti sono pensati per funzionare bene insieme. In padella come nel palato, obviously.

Chicken Marsala, Piccata, Francese

scaloppine limoncello

Concludiamo la carrellata del pollo con tre piatti molto simili fra loro. Le varianti derivano direttamente dalle nostre scaloppine, solo che qui il protagonista non è il vitello ma il nostro eroe da cortile. Anche nel caso del chicken Marsala il sapore è decisamente vintage: panna, funghi, Marsala, sherry. La piccata invece prevede burro, limone e capperi, una sorta di mugnaia dedicata al pollo. Infine, paradossalmente, il chicken francese: originario di New York, il nome sta ad indicare il suo status di piatto “da ristorante”. La farina però è tutta del nostro sacco, usata per impanare leggermente il pollo e cuocerlo in una salsa al burro, vino bianco e limone.

Clams Oreganata, Posillipo, Casino

cozze gratinate in teglia con carta da forno

Per le comunità italiane di origine meridionale la vigilia di Natale è una faccenda seria. In questa occasione la classica cena di magro diventa un vero e proprio banchetto a base di pesce, il Feast of the Seven Fishes. Sette portate (almeno) a base di baccalà, calamari, pasta con le sarde, insalata di mare, merluzzo e molto altro ancora. Il piatto tipico che spicca e occasionalmente esce dalla cornice festiva per diventare popolare appetizer è la clams oreganata. Vongole gratinate con burro, limone, aglio e prezzemolo caratterizzate da una spolverata abbondante di origano da cui il nome. Al pari di parmigiana, Fra Diavolo e marinara, l’oreganata indica il condimento versatile che si può applicare ad altri ingredienti come sogliola, cozze, gamberi e merluzzo. Un’altra variazione sul tema gratin sono le clams casino, contraddistinte dall’aggiunta di bacon e peperoni. Infine le clams Posillipo, un altro bell’esempio di storytelling. Niente a che fare col golfo di Napoli ma gli ingredienti ci sono tutti: frutti di mare, pomodoro, aglio, basilico.

Rainbow cookies

Rainbow cookies

Un arcobaleno tricolore dolcissimo e spugnoso. Questa, essenzialmente, è la natura dei rainbow cookies. Difficile definirli “biscotti”: per consistenza e composizione sono piuttosto assimilabili al marzapane. La base è infatti una pasta di mandorle con strati di marmellata alle albicocche e lamponi e copertura al cioccolato. L’effetto, ottenuto grazie ai coloranti alimentari verde e rosso, è quello di una bandierina italiana tridimensionale. Tipici della costa est, i rainbow cookies sono una costante delle bakeries italiane di New York e New Jersey che, vi dirò, sanno terribilmente di casa. Il punto di colore dei cookies infatti spicca in mezzo a un fornitissimo repertorio di pasticceria secca che vede mandorle, anice e albume d’uovo protagonisti assoluti. Sapori di forno di provincia verace, che un po’ abbiamo dimenticato e forse vale la pena ripescare.

Pizzelle, biscotti, cannoli

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Qui si gioca in casa lontano da casa. Tre dolci tipici italiani hanno trovato fortuna oltreoceano grazie, rispettivamente, a immigrati abruzzesi, toscani e siciliani. E il bello è che sono rimasti fedeli a se stessi, a parte la perdita definitiva del singolare ovviamente. Non troverete un singolo cannolo, biscotto o pizzella, tutto deve finire in -e o -i come vuole la pronuncia americana. Se le pizzelle della cucina abruzzese e i cannoli della cucina siciliana li abbiamo ben presenti, vale la pena fare una precisazione sui biscotti. Costoro, che per noi rappresentano un nome collettivo dalle infinite sottocategorie, in Usa indicano una tipologia ben precisa. Questa corrisponde ai cantucci toscani, che poi se ci pensate sono gli unici veri bis-cotti, infornati due volte per poterli conservare più a lungo.

Spumoni

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A metà strada fra una torta gelato e un semifreddo, lo spumoni (anche qui il plurale è d’obbligo) è una specialità italiana che ha fatto fortuna all’estero. Originario di Campania, Puglia e Sicilia, lo spumone d’altri tempi era un classico da matrimonio. Le parole chiave erano opulenza e scenografia: all’esterno un involucro di creme gelato, lo strato intermedio di cioccolato, canditi e frutta secca, e all’interno un cuore morbido di pan di Spagna affogato nel liquore. I gusti sono decisamente d’antan, e dunque non stupisce ritrovarli nella diaspora italiana in America, specialmente Usa e Argentina.

Il gusto di spumoni più famoso è senza dubbio il Neapolitan ice cream. Tre strati di vaniglia, cioccolato e fragola che avrebbero dovuto, almeno in origine, rappresentare il tricolore italiano. Più probabilmente la composizione del Neapolitan è stata codificata in base alle preferenze del grande pubblico. Del resto, provateci voi a fare un referendum sul Cucciolone e vediamo che succede.

Italian ice

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Concludiamo con una bel sorbetto per digerire questa ennesima scorpacciata. Discendente più o meno diretto della granita siciliana, l’Italian ice trascende tutte le categorie del caso. Quello artigianale con frutta vera ha consistenza simile alla cremolata; il più unapologetic invece assume le sembianze di uno snow cone, letteralmente un mucchietto compatto di ghiaccio tritato ricoperto di sciroppo. In mezzo ci multiformi varianti, dallo slushie più simile a una bevanda congelata allo shaved ice spezzettato come la nostra grattachecca. Di sicuro nelle estati caldissime delle metropoli americane fa il suo lavoro.