Le 16 varietà di cavolo diffuse in Italia: come riconoscerle e usarle in cucina

Le 16 varietà di cavolo più diffuse in Italia, con caratteristiche e usi di tutte le tipologie: riconoscere e cucinare verze, broccoli, cavolfiori, cavoli a foglia.

Le 16 varietà di cavolo diffuse in Italia: come riconoscerle e usarle in cucina

Fiori, foglie, germogli, fusti: dei cavoli si mangia proprio tutto, almeno a seconda della varietà. Parte della grande e variegata famiglia delle Brassicaceae, le tipologie di cavolo sono davvero tante sono davvero tante e l’inverno è il momento migliore per assaggiarli tutti: dai familiari cavolfiore, verza e cappuccio, agli estrosi cavoletti di Bruxelles e cavolo rapa, fino agli orientali cavolo cinese, gai lan e bok choy. Oggi ve li raccontiamo uno per uno, senza risparmiarci sulle peculiarità di queste varietà e sui consigli per usarli in cucina.

Prima di vedere le differenze però, concentriamoci sui tratti in comune. Il primo, più che all’occhio, salta a naso e bocca: le Brassicaceae infatti sono accomunate da odore pungente e sapore amaro. Questo ci porta a guardare più da vicino la composizione chimica dei cavoli. Le molecole responsabili dei caratteri organolettici sono costituite da composti sulfurei detti isotiocianati, gli stessi che la ricerca ha individuato come fondamentali nella prevenzione del cancro. Fra questi spicca il sulforafano, metabolita attivo in grado di inibire le cellule tumorali.

E dunque, quelli che sono considerati i tratti più “ostici” dei cavoli in realtà costituiscono la ragione più importante per consumarli.

Bando alle ciance, ecco le 16 varietà di cavolo più diffuse in Italia, corredate di proprietà, caratteristiche e usi consigliati.

Cavolfiore bianco

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La Brassica oleracea var. botrytis, per gli amici cavolfiore bianco, è l’infiorescenza più mangereccia della famiglia. Non solo per le dimensioni, che raggiungono e sorpassano tranquillamente il chilo di peso, ma anche e soprattutto per la versatilità in cucina. Crudo in pinzimonio, cotto a vapore, in forno e in padella, fritto, lessato, tritato, in crema, zuppe e sughi: il cavolfiore non ha confini, semmai sono coloro che non tollerano il suo aroma  – e chi dice “puzza” non sa cosa si perde – che se li creano. Il cavolfiore è composto da numerosi peduncoli florali di consistenza carnosa disposti a corimbo, ovvero con punti di intersezione differenti ma tutti terminanti alla stessa altezza. È ricco di vitamina C, ha proprietà antiossidanti e antinfiammatorie e potere saziante con pochissime calorie, il che ci sembra un ottimo affare, dopotutto. La varietà locale da provare è il cavolfiore di Moncalieri, Presidio Slow Food della provincia di Torino.

Come invogliare ad assaggiarlo? Semplice, rendendolo protagonista di ricette sfiziose, come crocchette e pizzette, o “nascondendolo” in preparazioni normalmente a base di altri ingredienti, ad esempio nel purè in sostituzione delle patate o nelle veci del cous cous insieme a tante altre verdure.

Cavolfiore viola, verde, arancione

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Adesso che abbiamo capito come cucinarlo, possiamo aggiungere un pizzico di creatività – e di colore – al nostro cavolfiore. Sì perché, se alla lunga la monotonia del bianco stanca, è bene ricordare che questo ortaggio può presentarsi in versione estremamente variopinta. A ogni tonalità corrisponde un micronutriente: il verde è ricco di clorofilla, l’arancione è un super concentrato di beta-carotene, il violetto contiene antociani, i più trendy fra i pigmenti antiossidanti.

Anche loro hanno mille usi in cucina, con il vantaggio che oltre alla bocca anche l’occhio si prende la sua parte. Tra le varietà più pregiate ricordiamo il cavolfiore verde di Macerata, autoctono marchigiano ricco di acido folico, calcio e magnesio; e il cavolfiore violetto catanese o bastaddu, incrocio locale con il broccolo dall’alto contenuto in vitamina C, potassio e fosforo.

Cavolo broccolo

broccolo

Già dal nome, Brassica oleracea var. italica, si capisce la predilezione nostrana nei confronti di questa specie. Il broccolo è un ortaggio tipicamente mediterraneo, conosciuto e apprezzato fin dai tempi dei Romani e diffuso in tutta la penisola. Tra le varietà locali ricordiamo il broccolo fiolaro di Creazzo, prodotto tipico vicentino che prende il nome dalle infiorescenze commestibili, i fiòi ovvero i “figli”; e il mùgnulo salentino, ortaggio simile alle cime di rapa da assaggiare con la tria, la tipica pasta lessata e fritta.

Quali sono le ragioni per amarlo così tanto? La salute prima di tutto, e non è solo un modo di dire: i broccoli sono un’ottima fonte di vitamine (A, C, E, K, nonché acido folico) e sali minerali (ferro, potassio, calcio, selenio, magnesio). Hanno proprietà fortemente antiossidanti, regolano i livelli di colesterolo, fortificano le ossa e fanno bene a cuore, vista e fertilità. Vantaggi su tutta la linea dunque, e in cucina che ve lo diciamo a fare, stan bene con tutto. Basta giusto un po’ d’olio, uno spicchio d’aglio e due fiocchi di peperoncino per un contorno o un sugo pieno di sapore. Da qui la base di ricette sfiziose come gli spaghetti con pesto di broccoli, sarde e uvetta, a cui seguono upgrade di lasagne, pasta al forno, frittata e tutto ciò che la vostra fantasia e il vostro gusto riescono a escogitare.

Broccolo romanesco

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Un capitolo a parte, non solo per l’aspetto estetico, merita il broccolo romanesco. Questo capolavoro psichedelico naturale marchiato Fibonacci (il matematico della sequenza che individua la sezione aurea e, in qualche modo, il segreto della bellezza) ha forma piramidale ed è composto da innumerevoli e microscopiche rosette disposte a spirale, schema riprodotto nella struttura stessa del broccolo e ripetuta sempre più in piccolo fino al suo interno. Un trip che ipnotizza gli occhi e delizia la bocca: la consistenza croccante e granulosa e il sapore dolce infatti ne fanno una primizia da non perdere, particolarmente apprezzata nei primi piatti. Abbinatelo a riso e risotto, cuocetelo in insalata con farro e orzo o provatelo in tutti i modi con la pasta, a partire dalla specialità siciliana con broccoli arriminati semplicissima e deliziosa.

Cavolo cappuccio verde

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Abbiamo già visto quali sono le fondamentali – almeno, per chi rischia di sbagliarsi e portare a casa brutte sorprese – differenze tra cavolo cappuccio e cavolo verza. La Brassica oleracea var. capitata è, come suggerisce il nome, la classica “testa di cavolo”, tonda, liscia e compatta. Si tende a consumare il cavolo cappuccio crudo, il che non solo risolve tanti antipasti e contorni, ma contribuisce anche all’assimilazione corretta di tutti i suoi benefici. Innanzitutto tanta acqua e fibre, per la gioia dell’intestino, poi calcio, ferro, vitamina C e acidi grassi omega-3. Un altro modo di mangiare il cappuccio è sotto forma di crauti, trasformati in seguito alla fermentazione lattica. Un toccasana per la flora intestinale, i crauti svolgono numerose funzioni tra cui metabolismo dei grassi, coagulazione del sangue e cicatrizzazione dei tessuti.

Crudo o fermentato (ma anche cotto, perché no, prendete ispirazione dall’okonomiyaki giapponese e poi ne riparliamo) il cavolo cappuccio è indubbiamente un alleato della dieta e del benessere. Per assaggiare una varietà autoctona vi consigliamo il cavolo cappuccio di Collina, prodotto tipico delle Alpi Carniche in Friuli Venezia Giulia registrato nell’Arca del Gusto Slow Food.

Cavolo cappuccio rosso

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La variante variopinta del cavolo cappuccio si tinge di rosso. La differenza principale sta nel contenuto di flavine, sostanze pigmentate appartenenti alla famiglia delle antocianine dal forte potere antiossidante. Il cavolo cappuccio rosso è anche un’eccellente fonte di calcio, potassio e vitamine del gruppo A, C, E, K, aiuta a mantenere forti le ossa, a ridurre il colesterolo, prevenire le infiammazioni intestinali e a rafforzare il sistema immunitario. Bello da vedere, buono per la salute e ottimo da mangiare: divertitevi a portarlo in tavola in veste sempre diversa utilizzando i nostri consigli per condirlo, letteralmente in tutte le salse.

Cavolo verza

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Cosa c’è di più confortevole della verza d’inverno, protagonista di zuppe, involtini, ripieni e innumerevoli piatti tipici, dalla cassoeula milanese ai capunet piemontesi? La Brassica oleracea var. sabauda è forse la più “accessibile” tra tutte le varietà, merito del suo sapore deciso e aromatico e della sua estrema versatilità. Le ricette per cucinarla sono davvero tante, così come le sue proprietà: analgesiche, antinfiammatorie, decongestionanti e antisettiche. Fra le eccellenze italiane segnaliamo il cavolo verza di Montalto Dora, prodotto dell’Arca del Gusto Slow Food in Piemonte. Questa specialità del Canavese è protagonista nella zuppa ‘d pan e còj, la tipica minestra di Ognissanti a base di pane, verza e formaggio, e diventa un supporto capiente e croccante per raccogliere la bagna cauda dal fojòt, il tegamino di coccio dove ribolle la saporita salsa di olio, aglio e acciughe.

Cavolo nero

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Dici cavolo nero, dici ribollita, il binomio è inossidabile. La Brassica oleracea var. acephala è una tipica pianta da foraggio che si è adattata particolarmente bene in Toscana, da cui l’exploit nella minestra ma anche su crostoni di pane (senza sale, ovviamente), frittata e farinata. Le sue foglie carnose e lanceolate di colore verde scuro e dalla superficie bollosa hanno proprietà antinfiammatorie e sono ricche di vitamine e sali minerali. Dopo averle private dello stelo e lavate, possono essere preparate in tutti i modi: in insalata (il metodo sempre sicuro per fare il pieno dei micronutrienti), stufate, lessate o fritte, per uno snack sfizioso e salutare.

Cavolo riccio

kale

Per dovere di cronaca lo chiamiamo cavolo riccio, ma sicuramente tutti lo conoscete meglio come kale. La Brassica oleracea var. sabellica è stato ovunque ingrediente di moda nella stagione 2016-2017, ma anche oggi si difende bene. Se fate un salto dall’altra parte dell’oceano, specialmente in California, lo troverete protagonista assoluto della cucina salutista anche dove meno ve lo aspettereste, ovvero nelle centrifughe detox su cui troneggia la categoria “green juice”, sapore orrendo ma effetti garantiti. È comprovato infatti che le sue proprietà siano innumerevoli: superfood antiossidante ricco di flavonoidi (in particolare kaempferolo, quercitina e isoramnetina), ricco di acido folico e vitamine A, C, E, fonte di calcio, zinco, ferro e fibre come se piovesse.

La sua densità di micronutrienti rende il kale un ingrediente (quasi) miracoloso. Il quid in più? Senza dubbio la doratura al forno, che se da una parte neutralizza gran parte delle sostanze, dall’altra fa acquistare tantissimi punti sul piano gustativo. Preparare le kale chips è un gioco da ragazzi: dopo aver tolto lo stelo centrale, lavate e asciugate molto bene le foglie e disponetele sulla teglia da forno. Cospargete con sale, olio e un pizzico di pepe e infornate per 10-15 minuti a 180°C. Ricce, verdi e croccantissime, sono la sana alternativa alle patatine che crea dipendenza.

Cavoletto di Bruxelles

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Piccoli, verdi e rotondi, i cavoletti di Bruxelles sono i baby cavoli più adorabili della famiglia. Peccato siano ingiustamente detestati da più di una categoria di persone, dai baby (umani stavolta) a chi in fondo non è mai cresciuto, almeno sul piano papille. I cavoletti non sono altro che i germogli di Brassica oleracea var. gemmifera che crescono alla base della pianta: sono costituiti da foglioline embricate avvolte l’una sull’altra fino ad acquisire la classica forma globulare. Saporiti e aromatici, i cavoletti contengono una buona dose di proteine, sali minerali, fibre e vitamine. In particolare sono ricchi di tiamina e acido folico, micronutrienti stimolanti dell’attività celebrale.

Come consumarli, e magari convincere qualche irriducibile diffidente? Provate con un po’ di dolcezza, con cui non si sbaglia mai: i cavoletti sono ottimi glassati con miele, sciroppo d’acero o aceto balsamico (quello vero s’intende). Rosolateli in padella, arrostiteli al forno con altre verdure (il top sono le carote), o cuoceteli semplicemente al vapore arricchiti da condimenti agrodolci o cremosi.

Cavolo cinese

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Ci spostiamo un po’ più lontano per esplorare tre interessanti varietà provenienti dall’Estremo Oriente. La prima è la Brassica rapa var. pekinensis, comunemente conosciuta come cavolo cinese o cavolo Napa. Questa varietà originaria del nord della Cina ha trovato la sua fortuna in Corea, dove è diventata protagonista della specialità nazionale fermentata, ovvero il kimchi piccante e speziato. Il cavolo cinese viene consumato generalmente cotto, affettato, stufato e largamente usato come ripieno: provatelo ad esempio nei jiaozi di gamberi, i saporiti ravioli da preparare alla piastra o al vapore.

Bok choi

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Il cugino “meridionale” del cavolo cinese è il bok choy, largamente diffuso nella Cina del sud e nel sud-est asiatico. La Brassica rapa var. chinensis ha foglie più larghe e scure, carnose e dal sapore dolce e delicato. È l’ideale accompagnamento di piatti a base di noodles come pad thai, dan dan mian o pho vietnamita. Oppure, semplicemente cucinato al vapore, condito con un filo di salsa di soia e accompagnato al riso diventa il cibo del conforto, sano e nutriente per un pranzo o cena molto zen.

Broccolo cinese

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Dopo il cavolo, non poteva mancare la versione cinese del broccolo, più correttamente chiamato gai lan. La Brassica oleracea var. alboglabra è una cultivar cantonese, largamente diffusa anche nella cucina burmese, thai e vietnamita. Il gai lan è un po’ la versione asiatica dei nostri germogli di broccolo: ha foglie verde scuro, gambo carnoso e consistente, e sapore piuttosto amaro. Si presta particolarmente alle cotture stir-fry negli enormi wok. I condimenti tipici sono con olio di sesamo, aglio e peperoncino oppure in salsa, nelle varianti “ostrica” (oyster sauce con estratto di pesce e caramello) e “anatra” (hoisin sauce, sorta di salsa bbq a base di soia fermentata e spezie).

Cime di rapa

Dici cime di rapa, dici orecchiette, il binomio è (anche qui) inossidabile. Viene naturale collegare il più iconico tra i piatti tipici pugliesi a questo ingrediente dal carattere profondamente mediterraneo. I prerequisiti ci sono tutti: verdi, selvatiche, amare, dal sapore pungente. Le infiorescenze in boccio e le foglie tenere della Brassica rapa sylvestris in realtà sono diffuse in tutto il Sud Italia, in particolare nel napoletano dove vengono chiamate friarielli. Va da sé che le ricette per prepararle sono innumerevoli, una più gustosa (e calorica) dell’altra: dalle fave a pasta, pizza e soprattutto salsiccia, ingrediente con cui le cime di rapa vanno davvero a braccetto.

Ma, se prendiamo le cime di rapa così come sono, ci accorgiamo delle loro importanti e preziose proprietà che aiutano a integrare la dieta. Sono ricche di calcio, ferro e fosforo, hanno una buona concentrazione di acido folico e sono particolarmente antiossidanti. Fanno talmente bene che anche la salsiccia, insieme a loro, diventa improvvisamente più salutare.

Cavolo rapa

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Il cavolo rapa è la varietà di Brassica oleracea var. gongylodes di cui si consuma tipicamente la base del fusto, detta torsa, con buccia di colore bianco, verde o violetto. Ha consistenza carnosa, succosa e croccante, simile al ravanello, e sapore delicato e leggermente piccante. Contiene vitamina C, fibre e potassio, mentre le foglie (commestibili previa cottura) sono particolarmente ricche di glucosinolati, le sostante antitumorali tipiche delle Brassicaceae. Il cavolo rapa si mangia sia crudo in insalata, sia cotto: in questo caso può essere stufato, lessato, arrostito o incorporato a zuppe e risotti. La varietà autoctona da conoscere è il cavolo trunzu di Aci, Presidio Slow Food del Catanese dalle proprietà disintossicanti.

Cavolo vecchio di Rosolini

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Terminiamo con il cavolo vecchio di Rosolini, Presidio Slow Food della Sicilia orientale precisamente tra le province di Ragusa e Siracusa, talmente singolare da costituire categoria a sé. Da molti viene considerato il capostipite di broccoli e cavolfiori e, come suggerisce il nome, si tratta di una pianta molto longeva in grado di vivere dai cinque ai sette anni. In passato veniva tipicamente coltivato si bordi delle saline, che non sono le vasche litoranee che possiamo immaginare, bensì le concimaie dove veniva accumulato il letame degli animali da stalla.

Il cavolo vecchio era un ingrediente preziosissimo per la dieta contadina, e non parliamo soltanto della sua eccezionale resistenza. I suoi germogli infatti contengono altissime quantità di indolo-3-carbinolo (fino a 100 volte di più rispetto agli ortaggi della stessa famiglia), una potente sostanza antiossidante dalle proprietà antitumorali. Insomma, un concentrato di benessere che oltretutto in cucina fa faville. Si sposa particolarmente bene con la pasta: il piatto tipico da provare è la pastratedda con cavolo vecchio, un primo a base di gnocchetti conditi con cimette, aglio e pomodorini. Più, volendo, una bella spolverata di caciocavallo ragusano, formaggio Dop a pasta semi-dura dal sapore dolce e aromatico.